mercoledì 22 febbraio 2006

il caffè delle quattro (II parte)


Ho sempre desiderato fare qualcosa di interessante nella vita: qualcosa che lasciasse il segno, insomma.Alla tenera età di 36 anni, quasi che diventare maggiorenni per la seconda volta avesse dato una svolta significativa alla ricerca del senso dell'esistenza, avevo capito questa semplice ma determinante verità: avevo sempre ammirato le cosiddette persone “speciali”, specialmente se la mia ammirazione per loro era stata la conseguenza di vite vissute, se non drammaticamente, almeno fuori dagli schemi consueti.
E a loro volevo, a tutti costi, somigliare il più possibile, cercando di trarre ispirazione dalle loro esperienze per farle diventare, in qualche modo, le mie.

Era uno di quei momenti in cui mi sembrava di far parte di una sequenza di un film: tutto era pronto per girare, c’era la musica giusta, la luce appropriata, perfino gli odori sembravano creare una cornice perfetta, degna del migliore scenografo del mondo.Di solito, in quei momenti, mi sembrava di vedere il mondo al rallentatore, tutto andava alla velocità del mio ritmo vitale, in quel preciso istante potevo sentire il battito del mio cuore scandire come un metronomo la musica suonata dal resto del mondo intorno a me.Col tempo avrei imparato a raccogliere il più possibile le sensazioni e le immagini di quegli istanti speciali, una sorta di “attimi fuggenti” che, però, a dispetto della loro fugacità, suscitavano reazioni profonde e indimenticabili, inversamente proporzionali, per così dire, alla loro durata.

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