domenica 20 giugno 2010

sfida impossibile


Trovare il lato positivo di certe giornate è difficile quanto cercare un gatto nero in una stanza buia.
Soprattutto se il gatto non c'è...

mercoledì 9 giugno 2010

orribilandia: dove eravamo e dove siamo



Nella melma, per non dire di peggio.

Dallo scorso 31 maggio la
CIG(O) è diventata CIGS. Per un altro anno.
Però, siccome
l'azienda FINGE di fare rotazione (ché a ruotare sono solo le palle dei cassaintegrati!), ogni mese arriverà un'insulsa raccomandata che indicherà di volta in volta il prolungamento del periodo di CIGS.
Bello, eh? E non è tutto, non ci facciamo mancar nulla.
All'ultima assemblea del 27 maggio i "cari" sindacati hanno parlato di incentivi che l'azienda darebbe (
condizionale quanto mai d'obbligo) a chi si fa licenziare entro il 30 giugno (7mila euro) oppure entro il 30 ottobre (4mila euro).
Peccato che quello che loro chiamano INCENTIVO altro non sia che l'importo COMUNQUE dovuto per la CIGS e che, anziché in dodici mesi, lo diano, COMUNQUE a rate, ma in dieci mesi.
Un incentivo notevole, non c'è che dire.
L'unico, per così dire, vantaggio immediato sarebbe la mobilità: ma solo se si è in trattativa per un altro posto di lavoro, giacché tale stato occupazionale comporta facilitazioni a livello contributivo al nuovo datore di lavoro.

In caso contrario, decisamente meglio restare in CIGS.
Inoltre ed infine, anche a fare due conti e calcolare a quanto ammonterebbe il TFR in caso di dimissioni (o licenziamento eventualmente concordato), anche questo importo verrà comunque corrisposto A RATE.

A completare il meraviglioso quadro, venerdì scorso è iniziata una serie di telefonate, per ora solo ai cassaintegrati, dove una dottoressa, appositamente incaricata, chiede se ti vuoi candidare per avere l'incentivo.
Come se ti regalassero un'auto, invece d'un licenziamento.
Le ho risposto che i soldi non fanno schifo a nessuno, me compresa.
E che siccome non sono in vena di far favori a nessuno, tantomeno a chi, dopo 11 anni di serio, onesto, scrupoloso e malpagato lavoro,
mi ha dato una pedata nel sedere, scegliendomi con premeditazione, non certo guardando la qualità, né il peso del mio lavoro, per ora mi tengo la mia "bella" CIGS; e che l'incentivo se lo prenda qualcun altro.
Dove, lo lascio immaginare...

domenica 6 giugno 2010

BLUSUBIANCO, settimo (e penultimo) round


Pubblicato, stavolta inspiegabilmente subito, anche il settimo racconto (e relativo incipit, a parte).
In attesa di eventuale selezione (seee...), eccolo.
Buona lettura.

Link precedenti:
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/04/blusubianco-primo-round.html

http://nonsolocats.blogspot.com/2010/04/blusubianco-secondo-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/05/blusubianco-terzo-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/05/blusubianco-quarto-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/05/blusubianco-quinto-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/06/blusubianco-sesto-round.html

BLUSUBIANCO, sesto round


Che però, stavolta, è stato un colpo a salve, visto che il racconto NON è stato neanche pubblicato.

Lo trascrivo qui, in attesa di commenti.
Non necessariamente positivi, sia chiaro...
Incipit in corsivo; tra parentesi il mio sottotitolo a quello assegnato dagli organizzatori del contest.
In calce i link ai racconti precedenti, compreso il quinto che non è stato selezionato (qui i prescelti per il quinto capitolo, qui quelli del sesto).

FONDERSI COL FOGLIO
(E non tornare più)
Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi. Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta: prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola; scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate con tutto quello che si portano dietro. E’ il potere della pagina bianca, credo. Ti risucchia e ti libera: è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” mi chiede il mio editore, accendendosi una sigaretta.

“Allora niente, lurido infame!” vorrei urlargli e spazzarlo via, insieme al suo fumo schifoso.
Io ho le idee e lui guadagna. E tutto per un debito di mio padre che non è mai stato cancellato.
La mia sensibilità, le mie intuizioni: calpestate da un essere spregevole, forte dei suoi soldi e di parecchie amicizie discutibili.
“Per me sei come una figlia, Lucia” ha spesso rimarcato con un sorriso maligno e maleodorante, come se quello fosse il più bel lavoro cui potessi aspirare.
E non è neanche un lavoro, giacché non sono pagata per quello che faccio.
Sono qui perché scrivere è sempre stato il mio sogno: ma fisicamente, non al computer, con carta e penna.
Anzi, una matita, per poterla cancellare; e i resti della gomma, sparsi intorno alle mie parole, come i trucioli caduti ai piedi di mio nonno, quando, avvolta dal profumo di resine misteriose, nascosta in quella dimensione segreta che solo noi conoscevamo, m’incantavo a guardarlo, mentre un’anonima asse di legno prendeva magicamente forma, seguendo i suoi pensieri.
Avevo sempre un blocchetto, dove scrivevo e disegnavo quello che mi veniva in mente, e una matita, rossa e piatta, con la punta fatta a mano.
Li vorrei qui, ora, per scrivere quanto odio quest’orco che mi tiene schiava, disegnare una finestra di parole in cui fuggire e liberarmi per sempre di lui.
Lui che, nello spazio percorso dai miei pensieri, ha già acceso e spento tre sigarette: io, muta e bloccata nel mio rifugio mentale, senza che un’idea riesca a scendermi fino alla punta delle dita.
“Se non mi consegni nulla, dovrò lasciarti a casa, sai? Sono molti quelli che vorrebbero essere al tuo posto, sai?” continua a farfugliare, tra una boccata giallastra e l’altra.
Ma io non lo sento più: le sue parole sono confuse e ovattate come quelle di chi parla di là da un muro, mescolate ai suoni indistinti d’un televisore acceso.
Mi alzo, di scatto. Sul suo brutto viso sudato passa un’evidente espressione di stupore contrariato, l’ombra improvvisa d’una nuvola sotto il sole.
“Allora? Niente!” gli rispondo, “E’ finita!”.
Sorrido veloce, attirata da una finestra aperta in fondo alla stanza: una luce attraverso il buio, la libertà dalla gabbia, la fine di un incubo che puzza di nicotina.
Nessuno s’accorge di nulla: tutti troppo impegnati, incatenati al maligno potere di questo maledetto posto.
Non tolgo neanche le scarpe, salgo su una sedia appoggiata al muro, una mano sul balcone, uno slancio: e in un attimo volo, nel vuoto.
La luce è bianca, io sono bianca. Nonno, arrivo…

Link precedenti:
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/04/blusubianco-primo-round.html

http://nonsolocats.blogspot.com/2010/04/blusubianco-secondo-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/05/blusubianco-terzo-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/05/blusubianco-quarto-round.html
http://nonsolocats.blogspot.com/2010/05/blusubianco-quinto-round.html